Complessità, ambiguità, creatività e inquietudine nella bellezza della nostra “povera Italia”: nuove idee ed energie per rilanciarla

di Giulia De Trizio


L’Italia, come si sa, è un concentrato di bellezza, come confermato dal fatto che nessun Paese ha tanti siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Una riprova di quanto sia fondamentale proteggere questa nostra eredità culturale è l’articolo 9 della nostra Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” Una delle più grandi sfide educative attuali riguarda proprio la bellezza, la bellezza dei monumenti, delle città, dei borghi e non soltanto quelli più famosi e visitati dai turisti, quanto quella rete di siti diffusi sul territorio, costituiti da masserie fortificate, chiese ipogee ed insediamenti rupestri, come nel caso della Puglia.

Al di là della legge, che ci dice di preservare il patrimonio storico-artistico che abbiamo, quale ruolo affidiamo alle bellezze delle nostre piazze, di un chiostro, di una cattedrale, di un palazzo affrescato? A scuola, nelle università, nelle associazioni, nella vita di tutti i giorni, che cosa accende in noi la parola “bellezza”? Quando si dice che la bellezza è soggettiva, che dipende dai gusti, che ognuno ha la sua idea di bellezza, si dovrebbe spiegare il perché davanti alla Gioconda di Leonardo da Vinci tutti la guardano e riguardano e ne rimangono colpiti, mentre invece nessuno penserebbe di fotografare l’entrata di un grande centro commerciale? Perché? Perché la bellezza è complessità, ambiguità, creazione, inquietudine.

Questa eredità è un flusso vivo mentre noi lo trattiamo come un corpo morto, una salma di cui però ci piace vantarci e goderne i frutti. Manca l’azione, il coraggio di trovare nuove idee, di mettersi in gioco, come invece ha fatto, per esempio i giovani di Craco in provincia di Matera che hanno costituito una cooperativa che gestisce le visite alla rovine del paese abbandonato a causa di una frana.

Quindi il patrimonio culturale la sua bellezza possono creare opportunità e rallentare lo spopolamento di tanti borghi. La bellezza, per riprendere una frase di Dostojevski, viene riconosciuta come colei che può salvare l’uomo dalla disperazione; a fronte di ciò, non sorprende la sempre maggiore perdita della speranza da parte di questo mondo, che ha messo in ombra il bello in favore dell’utile e relegato la gioia dell’uomo sullo sfondo di un’economia che pretende di dettare le regole della vita. La sfida quindi è immaginare una rete:fatta di associazioni, cooperative, oltre all’intervento pubblico, per arrivare a toccare questa bellezza, questo patrimonio, per coglierne l’essenza, per viverlo appieno, creando un nuovo modo di pensare l’impresa culturale. Una vera azione che genera sviluppo grazie al racconto della bellezza.

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