Ma…cos’è importante nella tua vita?

Da “Perfect days” al rapporto CENSIS e a Papa Francesco

Il giorno precedente all’impegno a partecipare come esperto (sociologo educatore) insieme ad un ingegnere urbanista ed un imprenditore ad una tavola rotonda sul tema “Sogni e bisogni della città” in Cattedrale a Bari decido di non perdermi “Perfect Days”.

Era l’ultimo giorno di programmazione del film, di cui molti amici mi avevano parlato con giudizi diversi anzi opposti, da vero capolavoro a film banale e monotono, seppur di un maestro del cinema come Wim Wenders.

Premetto che come tutte le volte che, alla vigilia di un intervento da esperto, in cui sono chiamato a parlare di educazione/ scuola futuro/ scenari culturali MEDITO E RIMUGINO.

In questa occasione mi chiedevo con quale “attacco” partire il giorno successivo per proporre il mio punto di vista sul rapporto tra prospettive educative e sogno di futuro.

Rimuginavo i miei ultimi scritti ed esperienze sulla responsabilità degli adulti nell’essere affidabili in quest’epoca di grandi sfide e trasformazioni e alla necessità di nuovi paradigmi educativi e culturali. Sulla necessità di cogliere quell’essenzialità delle esperienze che rimandano al bisogno di tanti giovani (spesso eluso e bistrattato) di essere affettivamente riconosciuti apprezzati valorizzati in una rete di legami amicali e famigliari non inquinati dai (dis)valori prevalenti dell’apparire competere prevalere ecc.

La visione del film, che mi accingevo con mia moglie a vedere, era in qualche modo un diversivo antistress per affrontare il giorno successivo una conferenza, che in qualche modo provoca sempre un po’ di emozione, per quanto ormai (da preside e formatore) avvezzo al parlare di fronte a una platea.

“Perfect days”, storia di una serena e ripetitiva vita di un addetto alle pulizie nei bagni di Tokyo, mi lascia lì per lì perplesso e meditabondo, finché l’indomani concentrato sull’elaborazione della scaletta del mio intervento accade una improvvisa intuizione/illuminazione.

Mi sorge all’improvviso una domanda:

“Non è che il messaggio del film può costituire la risposta e il focus centrale del mio intervento ai bisogni e sogni della città?”

Come sempre alla fase dell’intuizione, che ha sempre un po’ di associazione di idee e immagini anche irrazionali, da emisfero cerebrale destro, succede la rielaborazione più ragionata.

Ah.. sì: quel film ha a che fare con la nostra ricerca di felicità nelle piccole cose, che non riusciamo più a cogliere distratti dalla bulimia delle distrazioni dei mass media, di quel digitale che ci avvolge da quando ci svegliamo a prima di cedere al sonno sfogliando news, mail e messaggi di whatsapp nell’attesa di non sappiamo bene che cosa.

E stranamente quella monotonia del protagonista Hirayama ( di cui ignoriamo le probabili sofferte motivazioni) che con qualche variante ripete le sue giornate apprezzando il cielo al risveglio, ascoltando le sue canzoni, pulendo con amorevole cura i bagni di Tokyo, sorridendo discretamente verso gli sconosciuti, consumando nel parco il suo pasto per poi fotografare i raggi del sole tra i rami degli alberi e così via fino a gustarsi la lettura del libro prima di addormentarsi

HANNO UN SENSO

È la felicità del vivere di tutte le piccole cose della vita

E allora mi colpisce il comportamento della nipote Nico, che si rifugia nella serenità autentica dello zio, preferendolo alle agiatezze della sua famiglia. La madre va a riprenderla con una limousine guidata dall’autista.

Ritorno, incombe la preparazione del mio intervento, ad alcuni dati del recente rapporto CENSIS che avrei presentato all’incontro.

Mi colpisce, in particolare, il titolo di un quotidiano:

E in particolare:

«Non è il rifiuto del lavoro [prestigioso] in sé, ma un suo declassamento nella gerarchia dei valori esistenziali», precisa il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, aggiungendo che «non sorprende quindi che il 62,1% degli italiani avverta il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi o

che un plebiscitario 94,7% rivaluti la felicità derivante dalle piccole cose di ogni giorno:

il tempo libero, gli hobby, le passioni personali. Rispetto al passato, l’81,0% degli italiani dedica molta più attenzione alla gestione dello stress e alla cura delle relazioni, perni del benessere psicofisico individuale”

Si allora le mie non sono poetiche intuizioni di un delirante sognatore romantico se anche nelle indagini del CENSIS si parla di bisogno di felicità e, come dice Francesco di autenticità e amore rispetto verso se stessi, gli altri e la natura.

Una felicità che richiede da parte nostra, in particolare degli adulti e degli educatori (un po’ lo siamo tutti) una revisione del nostro modo di pensare e di testimoniare con la nostra vita, rispondendo a quel fondamentale e assolutamente essenziale bisogno di felicità: di quell’eroico nel quotidiano spesso disabituati a percepire, e che solo la grande arte, come in questo caso quella di un Wim Wender, riesce profeticamente a mostrarti.

“Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.
È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”.
È avere il coraggio di dire: “Perdonami”.
È avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”.
È avere la capacità di dire: “Ti amo”.
Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice …

Che nelle tue primavere sii amante della gioia.
Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza.
E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo.
Poiché così sarai più appassionato per la vita.

E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta….
Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza.
Non mollare mai ….
Non rinunciare mai alle persone che ami.
Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!” (Francesco)

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